Libertà negate in Iran. Di velo si muore.

Le strade di Algeri, Rabat, Beirut o Tunisi pullulano di donne di ogni età con o senza velo. Le società cambiano, e qualcuno nota una crescente presenza nello spazio pubblico di donne velate, contrariamente al passato, nei Paesi islamici ed anche in Europa. Innegabile, anche nei Paesi mediterranei dell’Africa del Nord, è l’influenza degli Stati del Golfo, che esprimono una varietà di islam più austera e che non esitano ad esportarla altrove in virtù del loro prestigio religioso – l’Arabia Saudita è sede dei due principali luoghi santi per i musulmani – ed economico – si pensi solo ai petrodollari, agli investimenti calcistici degli emiri, all’impero della comunicazione rappresentato dal canale Al Jazira, alle generose donazioni elargite a Paesi a maggioranza sunnita, e così via.

Foto da Il Corriere del Ticino (2022)

Il velo delle musulmane è un oggetto divisivo in seno alla stessa umma islamica: c’è chi lo porta per esprimere aderenza ai dettami religiosi, chi per manifestare appartenenza alla grande comunità islamica mondiale, chi ne fa una scelta politica di differenziazione dalle donne occidentali, chi lo porta perché costretta suo malgrado, chi lo mette di propria sponte per proteggersi dagli sguardi degli estranei, chi lo descrive come un fatto meramente culturale e chi lo trasforma in un accessorio di moda. Di fatto, sebbene i versetti del Corano non parlino esplicitamente di velo così come oggi concepito, ogni Paese islamico ha le sue tradizioni ed in alcuni casi, le sue leggi.

In Iran, per esempio, sulla base dell’articolo 638 del Codice Penale che tutela la “pubblica decenza”, le donne dai nove anni in su che non indossano il velo in pubblico sono punibili con la reclusione da dieci a sessanta giorni o con una sanzione pecuniaria. Il velo è obbligatorio per legge dal 1983 anche per le donne straniere.

Il velo non è dunque una questione privata, bensì una questione di Stato: coprire la donna fu il primo pensiero dell’ayatollah Khomeini quando, nel 1979, tornò dall’esilio londinese e fu acclamato leader dell’Iran. Le donne scoperte erano giudicate nude, e lo sono ancora oggi nella mentalità di molti.

Accade, perciò, in nome della “pubblica decenza”, che una ciocca di capelli fuori posto diventi un reato e costi cara alla contravvenente. Il presidente Raisi, lo stesso che ha negato un’intervista alla giornalista anglo-iraniana Christiane Amanpour della Cnn perché non accettava di incontrare una donna non velata, ad agosto ha firmato un decreto che prevede l’irrgidimento delle norme sul hijab: la pubblicazione di foto senza velo online causa la perdita di diritti sociali (andare in banca o recarsi in un ufficio pubblico) per alcuni mesi; la scelta di una foto “inadatta” per il profilo di un social network può far perdere il lavoro alle impiegate pubbliche. Il Dipartimento per la Promozione della virtù e la prevenzione del vizio starebbe pensando, inoltre, all’introduzione sui mezzi pubblici del riconoscimento facciale, per controllare e riconoscere le cittadine senza velo.

La polizia iraniana, secondo Amnesty International, imprigiona decine di migliaia di donne ogni anno, spesso non limitandosi al fermo, ma usando violenza e umiliando le donne imponendo loro di struccarsi davanti ai passanti, o insultandole se indossano vestiti attillati. Le donne senza il chador nero1 non possono entrare in alcuni spazi pubblici e istituzioni governative. Chi non accetta l’obbligatorietà del velo non ha vita facile e fa fatica a far sentire la sua voce. Il sito di Amnesty International ricorda le storie di Nasrin Sotoudeh e Yasaman Aryani, oltre alla recentissima vicenda che in cui ha trovato la morte Mahsa Amini, arrestata dalla polizia morale2 a Teheran, picchiata e morta in ospedale tre ore dopo. Nasrin, avvocato, è stata condannata nel 2021 a 38 anni e 148 frustate perché ha difeso una donna che aveva manifestato contro l’obbligo del velo. Yasaman, invece, su un treno ha osato regalare dei fiori alle donne presenti, a capo scoperto, parlando di futuro e libertà anche in Iran. Era una data simbolo, l’8 marzo 2019: poco dopo è stata arrestata e condannata a 16 anni di carcere.

Per la ventiduenne Mahsa Amini sono scesi in piazza gli iraniani, con rabbia e coraggio. Centinaia gli arresti, oltre cinquanta i morti negli scontri con la polizia, internet bloccato.

Le proteste, nonostante la dura repressione, continueranno? Fra quanto tempo ci dimenticheremo di Mahsa, Nasrin, Hadith e le altre?

“La vita senza libertà è come un corpo senza anima”, ha scritto il poeta libanese Khalil Gibran.

Arianna Obinu

1Indumento tradizionale iraniano: sorta di mantello che copre il capo e le spalle, di solito di colore nero.

2Si chiama Ershad in farsi. Istituita nel 2005, sotto la presidenza di Ahmadinejad, la polizia morale vigila sul rispetto dell’etica e dei valori iraniani islamici. Le donne sono il bersaglio più attenzionato.

Lascia un commento